Il potere di revocare il trustee, garantito dall’atto istitutivo di trust al beneficiario, nonché l’obbligo di rendiconto che grava sul trustee nei confronti del beneficiario stesso fanno ritenere che la gestione del trust non possa avvenire in totale autonomia, con la conseguenza che il trust va considerato fiscalmente inesistente.
È quanto affermato dall’Agenzia delle Entrate nella risposta n. 258 del 16 dicembre 2024, che esamina tre diversi trust americani disciplinati dalla legge del Texas (“Texas Trust Code”).
Il principio si fonda sulla considerazione che il trustee, in tale circostanza, potrebbe sentirsi condizionato nelle proprie scelte. Pertanto, i redditi di tali trust sono da tassare direttamente in capo al beneficiario residente.
Questa è la conclusione cui giunge l’Agenzia delle Entrate, che ha provocato un vivace dibattito negli ultimi mesi.
L’orientamento della prassi amministrativa non è nuovo (cfr. risoluzione n. 8/E del 17 gennaio 2003). Tuttavia, in questa risposta, si è andati oltre, affermando che il rendiconto di gestione del trustee “fa ritenere che la gestione del trust non possa avvenire in totale autonomia rispetto alle volontà (…) [del beneficiario stesso]”.
L’Agenzia delle Entrate pone dunque il diritto al rendiconto spettante al beneficiario come elemento comprovante la non genuinità del trust, tale da condurre a considerarlo inesistente ai fini fiscali. Tale affermazione presenta criticità metodologiche e giuridiche che meritano di essere evidenziate.
In verità, il trustee deve essere sempre pronto a rendicontare (c.d. “duty to account”). Uno dei doveri del trustee è, infatti, quello di redigere il rendiconto delle operazioni gestorie che hanno interessato il fondo in trust e della consistenza e composizione dello stesso. Tale dovere è posto a tutela degli interessi dei beneficiari, che hanno il diritto di essere informati. La mancata tenuta di una corretta informativa e contabilità è di per sé una violazione degli obblighi fiduciari secondo la normativa applicabile in molti ordinamenti giuridici.
In particolare, com’è noto, la rendicontazione del trustee deve dare conto di come sono stati amministrati nel periodo di riferimento i beni e i diritti che formano il fondo in trust, della loro composizione, di quali impieghi e distribuzioni sono avvenuti. Il rendiconto reso dal trustee deve mettere i beneficiari nella condizione di comprendere se il fondo in trust è investito e gestito in conformità alle finalità del trust stesso.
Non si può in alcun modo ritenere che il diritto dei beneficiari ad ottenere il rendiconto della gestione rappresenti una modalità di malagestione del trust da parte del trustee a favore del beneficiario, con conseguente (errata) valutazione di inesistenza del trust ai fini fiscali.
Nessuna norma prevede che il diritto di rendicontazione del beneficiario rende il trust inesistente, ovvero interposto.
La posizione assunta dall’Agenzia delle Entrate si basa, quindi, su una ricostruzione logica e giuridica fallace, ossia che il beneficiario possa nominare un trustee solamente dopo essersi accertato che quest’ultimo lo informerà circa l’amministrazione del fondo in trust e i risultati ottenuti: obbligo che, come già detto, ha il solo (e mero) fine di garantire trasparenza nella gestione del fondo a tutela dei beneficiari, che così possono verificare il rispetto delle finalità del trust.
In conclusione, purtroppo, un’altra occasione persa per interpretare correttamente l’istituto del trust nel nostro ordinamento.
Un’altra occasione persa per interpretare correttamente l’istituto del trust nel nostro ordinamento
A cura di Federico Di Cesare, Partner
Il potere di revocare il trustee, garantito dall’atto istitutivo di trust al beneficiario, nonché l’obbligo di rendiconto che grava sul trustee nei confronti del beneficiario stesso fanno ritenere che la gestione del trust non possa avvenire in totale autonomia, con la conseguenza che il trust va considerato fiscalmente inesistente.
È quanto affermato dall’Agenzia delle Entrate nella risposta n. 258 del 16 dicembre 2024, che esamina tre diversi trust americani disciplinati dalla legge del Texas (“Texas Trust Code”).
Il principio si fonda sulla considerazione che il trustee, in tale circostanza, potrebbe sentirsi condizionato nelle proprie scelte. Pertanto, i redditi di tali trust sono da tassare direttamente in capo al beneficiario residente.
Questa è la conclusione cui giunge l’Agenzia delle Entrate, che ha provocato un vivace dibattito negli ultimi mesi.
L’orientamento della prassi amministrativa non è nuovo (cfr. risoluzione n. 8/E del 17 gennaio 2003). Tuttavia, in questa risposta, si è andati oltre, affermando che il rendiconto di gestione del trustee “fa ritenere che la gestione del trust non possa avvenire in totale autonomia rispetto alle volontà (…) [del beneficiario stesso]”.
L’Agenzia delle Entrate pone dunque il diritto al rendiconto spettante al beneficiario come elemento comprovante la non genuinità del trust, tale da condurre a considerarlo inesistente ai fini fiscali. Tale affermazione presenta criticità metodologiche e giuridiche che meritano di essere evidenziate.
In verità, il trustee deve essere sempre pronto a rendicontare (c.d. “duty to account”). Uno dei doveri del trustee è, infatti, quello di redigere il rendiconto delle operazioni gestorie che hanno interessato il fondo in trust e della consistenza e composizione dello stesso. Tale dovere è posto a tutela degli interessi dei beneficiari, che hanno il diritto di essere informati. La mancata tenuta di una corretta informativa e contabilità è di per sé una violazione degli obblighi fiduciari secondo la normativa applicabile in molti ordinamenti giuridici.
In particolare, com’è noto, la rendicontazione del trustee deve dare conto di come sono stati amministrati nel periodo di riferimento i beni e i diritti che formano il fondo in trust, della loro composizione, di quali impieghi e distribuzioni sono avvenuti. Il rendiconto reso dal trustee deve mettere i beneficiari nella condizione di comprendere se il fondo in trust è investito e gestito in conformità alle finalità del trust stesso.
Non si può in alcun modo ritenere che il diritto dei beneficiari ad ottenere il rendiconto della gestione rappresenti una modalità di malagestione del trust da parte del trustee a favore del beneficiario, con conseguente (errata) valutazione di inesistenza del trust ai fini fiscali.
Nessuna norma prevede che il diritto di rendicontazione del beneficiario rende il trust inesistente, ovvero interposto.
La posizione assunta dall’Agenzia delle Entrate si basa, quindi, su una ricostruzione logica e giuridica fallace, ossia che il beneficiario possa nominare un trustee solamente dopo essersi accertato che quest’ultimo lo informerà circa l’amministrazione del fondo in trust e i risultati ottenuti: obbligo che, come già detto, ha il solo (e mero) fine di garantire trasparenza nella gestione del fondo a tutela dei beneficiari, che così possono verificare il rispetto delle finalità del trust.
In conclusione, purtroppo, un’altra occasione persa per interpretare correttamente l’istituto del trust nel nostro ordinamento.